Mettiamo a confronto la regione musulmana con la religione cattolica.

si può dire che, per questioni principalmente economiche e politiche, la maggior parte della popolazione musulmana è socialmente più arretrata su alcuni temi (diritti delle donne, in questo caso). non è un fattore religioso ma umano questo. è una questione di educazione e mentalità. i cristiani, cattolici in primis, hanno sempre storicamente sottomesso le loro donne, ma la nostra società con i suoi cambiamenti (pari opportunità, movimenti femministi...) ha portato alla luce un'interpretazione più paritaria del cristianesimo. questa però è una modifica di credo religioso dovuta al cambiamento della società e non viceversa.

lunedì 18 gennaio 2010

Il pregiudizio verso la donna musulmana in Occidente ha un nome: velo.

Che si chiami burka, chador o foulard, esso assume, nell’immaginario collettivo occidentale,
significati precisi: sottomissione all’uomo, arretratezza, oppressione, violazione dei diritti
fondamentali, ignoranza.
Mai come negli ultimi anni, da quella sciagurata data dell’11 settembre 2001, abbiamo visto tante
donne velate sui giornali e nelle librerie, dove scaffali colmi di pubblicazioni di islamisti autorevoli
e di islamologi dell’ultim’ora, mostrano sulle copertine patinate veli di tutte le fogge.
Ma questa attenzione, a tratti morbosa, purtroppo pare non avere contribuito molto alla conoscenza
della figura della donna nell’Islam, e sicuramente non ha combattuto i luoghi comuni ad essa legati,
anzi rinforzandoli.

Nel nostro contesto il velo viene caricato inevitabilmente di una connotazione negativa e di valori
inconciliabili con la nostra cultura. Ciò crea un pregiudizio, che impedisce la conoscenza del
fenomeno,che si presenta molto più complesso e vasto,quanto eterogeneo e vasto è il cosiddetto
“mondo islamico”.

venerdì 11 dicembre 2009

AIDOS

Aidos - Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo



A dimostrazione che le donne possono fare tanto.

lunedì 23 novembre 2009

Il divorzio e il ripudio nel diritto islamico

La questione del divorzio ci impone di tornare ai testi fondamentali. Un giorno una donna è andata dal Profeta affermando che non le piaceva il marito e che temeva di agire contro la morale. Muhammad le ha domandato se accettava di restituirgli l'equivalente della dote che suo marito le aveva versato al momento del matrimonio (si trattava di un giardino); ella disse di sì e furono quindi divorziati (in certe circostanze, e secondo certi giuristi, non è obbligata a rendergli la dote, a seconda se egli è nel torto oppure no).
L'idea di pensare che una donna non ha il diritto di separarsi o di chiedere la separazione dal marito è falsa e non corrisponde agli insegnamenti dell'islam. Una donna può anche esigere che i suoi diritti riguardo alla separazione vengano chiaramente stipulati nel contratto di matrimonio. Evita così interpretazioni estese o l'applicazione specifica di una scuola di diritto che potrebbe, in una data situazione, essere più restrittiva di un'altra.




Il divorzio, tra le cose permesse, è la più detestata da Dio, ci dice una tradizione del Profeta. Non è dunque un atto da farsi con leggerezza, quasi gratuitamente, che ci si potrebbe permettere di fare senza ragione. E' un atto grave che per l'uomo come per la donna deve essere giustificato. Purtroppo oggi non è sempre così. E' ancora e sempre una questione di educazione.
Gli uomini del resto non sono da meno e i casi di divorzio, di talaaq secondo il termine arabo, rivelano da parte di questi ultimi esagerazioni con trattamenti assolutamente discriminatori e disumani nei confronti della sposa. Certi uomini credono veramente che tutto sia loro permesso e del resto già 'Umar, il secondo successore di Muhammad, aveva dovuto intervenire perché gli uomini pronunciavano la tripla formula del divorzio in modo sconsiderato. Bisogna riconoscere queste gravi deviazioni e rimediarvi al più presto con un doppio lavoro: educazione degli uomini e delle donne riguardo ai loro rispettivi doveri e responsabilità nel matrimonio e in seno alla famiglia, e promovendo riforme legali che, per tappe, permettano di lottare contro le discriminazioni e i maltrattamenti che subiscono le donne, tanto sul piano del diritto come su quello puramente fisico.
Bisogna anche aggiungere che, nelle società a maggioranza musulmana, il matrimonio non riguarda solo due esseri. E' il matrimonio di due esseri e l'unione di due famiglie. La donna musulmana mantiene il legame con la propria famiglia e non prende mai il nome di suo marito. Ciascuno conserva la propria identità e inoltre resta legato alla sua famiglia d'origine. La cosa vale per il matrimonio come per il divorzio: lasciare la moglie o il marito, significa ritrovare la propria famiglia. Non ci si ritrova mai completamente soli.
L'applicazione del diritto deve anche tener conto delle realtà del contesto sociale nel quale si concretizza. E' oggi un problema profondo, poiché le strutture sociali e familiari delle società musulmane subiscono gravi disfunzioni a causa della povertà, delle condizioni di vita, delle famiglie smembrate. Spesso in casi di separazione, la donna si ritrova sola, isolata, con a carico molti bambini. Non si può in questi casi plateali nascondersi dietro un'applicazione letterale dei principi della giurisdizione islamica perché allora si sosterrebbe un'ingiustizia.

venerdì 20 novembre 2009

La tragicommedia laica del foulard islamico


Proporrei di affrontare questo argomento partendo da un particolare, che ha fortemente colpito l'opinione pubblica occidentale: il fatto di portare il foulard islamico ed indossare più in generale abiti molto coprenti, obbligatori in certi paesi islamici. Non in tutti, comunque. Ma l'abbigliamento bizzarro delle donne afghane è chiaramente considerato umiliante e degradante: non possono uscire dalle loro case se non bardate da una sorta di garitta di tessuti, orientandosi nel loro cammino attraverso una griglia che permette loro giusto di respirare e di vedere, il che deve essere particolarmente opprimente in un paese caldo. E questo lascia intendere che i talibani, che pretendono di essere studenti di teologia, considerano la donna come un essere pericoloso al punto che il solo aspetto possa minare le basi della società islamica.
D'altra parte devo dire che il dibattito fatto in nome della laicità sulle giovani musulmane che portano o desiderano portare il foulard nelle scuole francesi, non lo condivido. Anzi. Questa intransigenza è specifica della laicità francese mentre c'è maggior tolleranza in altri paesi dove nessuno pone questo tipo di problemi. Se si vuole introdurre alla laicità e alla modernità una giovane maghrebina, non è con l'espulsione scolastica che ci si arriva, al contrario. Anche là c'è un atteggiamento intollerante da parte francese, simmetrico a quello dei talibani. Né gli uni, né gli altri permettono alle giovani di vestirsi come vogliono.
Consideriamo ora la posta in gioco del conflitto: una famiglia maghrebina sa che dovrà vivere definitivamente in Francia, non ha alcuna speranza di ritornare. La ristrettezza di spirito della società francese impedisce di integrare le giovani nella scuola accettando che esse portino il foulard come la famiglia musulmana desidera. Anche se l'aggressione iniziale proviene dalla società francese, la reazione della famiglia maghrebina resta inquietante. Si rassegna a non dare un'istruzione alla figlia piuttosto che transigere su un dettaglio, che ha comunque un'aria un pò formalista. La salvezza spirituale di una donna musulmana non dipende dal velo. E' proprio necessario trasformare queste giovani in martiri per un'attenzione esagerata ad una pratica rituale secondaria? Che cosa ne pensate?

mercoledì 18 novembre 2009

Il caso della poligamia.


Il caso della poligamia rappresenta nell'immaginario degli occidentali la grande differenza tra cristiani e musulmani per quanto riguarda la condizione della donna. Consideriamo Luigi XIV, il re cristianissimo, sposato a una sola donna alla quale, si deve pensare sia fedele, ma che mantiene una serie di favorite, con le quali ha figli riconosciuti e nobilitati secondo un costume ben stabilito: essere di sangue blu ha la priorità sulle condizioni di legittimità. I bastardi di re e nobili cristiani occupano dappertutto posizioni importanti nel governo, nell'esercito e nel clero. In pratica Luigi XIV mantiene un harem che non è molto diverso da quello del suo collega d'Istanbul, il sultano degli Ottomani. L'unica differenza è che da parte turca è ufficiale e da parte francese è ufficiosa, cioè è allo stesso tempo fuori legge e conforme ai costumi. Nessun sultano ha mai immaginato che il fatto di avere un harem potesse costituire un peccato morale. Al contrario Luigi XIV soffriva grandi angosce. In occasione dei suoi spostamenti l'accompagnava un prete per confessarlo nel caso avesse un incidente. Sul letto di morte, una delle sue ultime parole al suo erede, il futuro Luigi XV, è stata di dire che soffriva molto, ma che desiderava soffrire ancor più per espiare tutti i peccati di vanità e di sensualità che aveva commesso. Un discorso del genere sarebbe inconcepibile sulle labbra di un sultano: egli muore rimpiangendo i piaceri di cui la morte lo ha privato.

Chiedo allora se si può dire che l'Occidente cristiano proclama un grande rigore ma consente tutte le eccezioni che lo rendono sopportabile mentre nell'islam le esigenze sono più realiste ma più rigide? La posizione cristiana è massimalista, quella islamica è minimalista; la legge è considerata nel primo contesto come il soffitto e nel secondo come il pavimento.
Gli occidentali fraintendono questo realismo islamico unito ad una fedeltà ferrea. E' questo paradosso che rappresenta la grande differenza d'atteggiamento delle due culture di fronte alla donna?